Implementazione delle competenze delle Professioni Sanitarie: TROPPE PAROLE E POCHI FATTI
Sull’implementazione delle competenze delle professioni sanitarie e, più in generale sul comma 566 della legge di stabilità, è difficile intervenire senza correre il rischio di alimentare le derive particolaristiche in cui ci pare si stia articolando la discussione.
Per questo ce ne siamo tenuti volutamente a margine. Ma l’escalation dei temi e, in alcuni casi, dei toni è così forte da suscitare preoccupazione e perplessità, oltre a qualche sospetto di gattopardiana memoria. Non vorremmo che l’aggiunta di “tanta carne al fuoco” abbia alla fine l’unico effetto di tenere tutto fermo così com’è. Non è un caso che la prima bozza di accordo, che riguarda l’implementazione delle competenze per la professione infermieristica, pronta e “bollinata” da tutti i soggetti competenti è ferma al palo da due anni.
Con tutto il rispetto per le analisi scientifiche e teoriche – che hanno certamente un loro perché – vorremmo riportare l’attenzione su uno degli obiettivi centrali di questo accordo che è riconoscere, promuovere e regolamentare quanto su molti territori già accade. Quanto a molti colleghi viene già richiesto al di fuori di una cornice complessiva che garantisca e tuteli tutti gli operatori coinvolti, oltre che la qualità e sicurezza dei servizi ovviamente.
E con buona pace dei più strenui oppositori dell’accordo che paventano rischi per i cittadini e un inaccettabile depauperamento della proprio ruolo e della propria professionalità, ci risulta che nella realtà le cose siano ben diverse. Nei reparti i professionisti sanitari, a partire dai medici, sono consapevoli della necessità di una maggiore integrazione professionale e di una piena valorizzazione delle competenze emergenti per fronteggiare le sfide della quotidianità. E i cittadini sono ben contenti di poter fruire, di conseguenza, di servizi di maggiore accessibilità e qualità.
La nostra preoccupazione è che il comma 566 e tutta la partita della valorizzazione delle professioni sanitarie stiano diventando il pretesto per dispute politiche e filosofiche che più proficuamente dovrebbero essere ricondotte ai loro campi propri.
Quello di cui c’è bisogno, secondo noi, è invece ricentrare l’impegno sul merito delle cose, sui problemi concreti cominciando a dare gambe ad uno strumento in grado di portare maggiore qualità delle prestazioni, migliori condizioni di lavoro per tutti e un uso più efficace delle risorse umane e strumentali. Senza con questo voler pregiudicare gli ulteriori percorsi per la specializzazione, ovviamente.
Il nostro invito quindi è prima di tutto al Ministero della Salute, perché dopo tanti annunci dia finalmente il via libera al provvedimento.
Dopo di che il nostro auspicio è che si prendano le distanze dalle sterili posizioni di contrapposizione per affrontare la gestione dell’accordo in una logica di sinergia.
Lo abbiamo detto e lo ripetiamo: il percorso di riconoscimento dell’evoluzione delle professioni sanitarie, che è comunque inarrestabile, può diventare un’opportunità per i professionisti della dirigenza e per quelli del comparto, un’occasione per confrontarsi e condividere i principi ed i criteri di una maggiore integrazione professionale, ma anche uno strumento per aprire la strada a nuove e più significative relazioni aziendali in grado di incidere sulla qualità delle prestazioni e sulla valorizzazione di tutti gli operatori.
E per quanto ci riguarda siamo pronti ad intraprendere questa strada.