Conto annuale 2013: meno personale e un terzo sono infermieri

Conto annuale 2013: meno personale e un terzo sono infermieri

Conto annuale 2013: meno personale e un terzo sono infermieri

Silvestro: “Le Regioni ma aggrediscano le duplicazioni esistenti di centri decisionali, di funzioni e strutture che non danno risposte ai veri bisogni, rivedano i paradigmi organizzativi del sistema e mettano al centro di ogni tipologia organizzativa l'assistenza alla persona”

In un solo anno, tra il 2012 e il 2013, nel Servizio sanitario nazionale ci sono 1.036 infermieri in meno, un terzo del calo di 3.175 organici sanitari a livello nazionale . E gli infermieri hanno perso anche rispetto al 2012 non solo colleghi, ma anche 100 euro annui medi di retribuzione (-0,31%) e per il blocco dei contratti stanno subendo una perdita di potere di acquisto che raggiunge il 25% dei loro stipendi.

Il quadro della forza lavoro del servizio sanitario pubblico tracciato dal Conto annuale 2013 della Ragioneria generale dello Stato, appena pubblicato, è lo specchio della sofferenza del personale che con la crisi fa da vero e proprio bancomat delle Regioni. E la conferma viene dall’analisi a medio termine di forza lavoro e retribuzioni: rispetto al 2009, primo anno dei piani di rientro presenti in ben otto Regioni, ci sono 3.754 infermieri in meno, che guadagnano in media (il 2009 è stato anche l’ultimo anno di rinnovo contrattuale) lo 0,66% in più nel 2013. Praticamente nulla.

Cosa accade nelle Regioni
Che la situazione sia poi dovuta alla necessità di risparmio delle Regioni appare evidente dall’analisi dell’andamento degli organici a livello locale. Nel 2013 rispetto al 2012 perdono più unità di personale due categorie di Regioni: quelle con i conti maggiormente in rosso che hanno il turn over irrimediabilmente bloccato per evitare spese eccessive e all’opposto quelle con i conti migliori, che per mantenere l’equilibrio sono costrette, dopo aver messo in campo tutte le razionalizzazioni possibili, a tagliare anche loro sui costi del personale, mettendo però così a rischio la qualità dei servizi.

Ecco infatti che nel 2013 in testa alla “perdita” di infermieri c’è l’Emilia Romagna, Regione sempre tra le prime benchmark, che ne ha ben 344 di meno dell’anno precedente. Le fanno compagnia col segno meno Campania, Lazio, Calabria, Piemonte, Sicilia, Molise, tutte in piano di rientro. Ma riducono gli organici dell’assistenza anche Trento, Toscana, Marche e Liguria.

L’aumento più consistente di infermieri si ha invece in Friuli Venezia Giulia (che si ferma però allo stesso organico del 2009) e in Puglia, dove tuttavia rispetto al 2009 di infermieri in meno ce ne sono ben 1.593, quasi la metà della perdita complessiva a livello nazionale nei quattro anni.

Silvestro: “Le Regioni riorganizzino il sistema”
“Sono dati che confermano una situazione al limite della sostenibilità – afferma Annalisa Silvestro, senatrice e presidente della Federazione nazionale dei Collegi Ipasvi – a cui si può far fronte dal punto di vista economico e di ulteriori ed eventuali tagli solo se le Regioni ridefiniranno le modalità e gli ambiti in cui rivalutare e rivedere la spesa. Spending review non significa soltanto tagliare come si è sempre voluto far credere ma anche ripensare, riorganizzare, innovare; non sempre risparmiare dove appare più facile come sul personale o su certi acquisti porta un guadagno in termini di efficienza ed efficacia. E mai questo tipo di tagli favorisce l’assistenza, la cura e il benessere dei pazienti, mentre all’orizzonte si prospetta ancora, con la legge di stabilità 2015, il mantenimento dell'attuale staticità sulla spesa per il personale che altro non fa se non minare l’efficienza del Servizio pubblico e le speranze di migliaia di giovani”.

"Che fare? “Si aggrediscano le duplicazioni esistenti di centri decisionali, di funzioni e strutture che non danno risposte ai veri bisogni dei cittadini e che assorbono risorse impropriamente e penalizzano l’equità di accesso alle cure. Si assumano le necessarie decisioni, non più ulteriormente rimandabili su quegli "ospedali" che di ospedale hanno solo il nome e li si trasformi in ciò che, davvero, serve al singolo cittadino e alla collettività. Si aumenti l'appropriatezza dei ricoveri ospedalieri attivando una vera rete di cure e assistenza primaria. Si rivedano con coraggio i paradigmi organizzativi dell'intero sistema, si metta finalmente al centro di ogni tipologia organizzativa l'assistenza alla persona e i bisogni di una popolazione sempre più anziana, fragile e affetta da patologie di lungo periodo. Anche queste, oltre agli altri sprechi, sono le variabili su cui le Regioni devono coraggiosamente intervenire per ottenere appropriatezza, efficacia e veri e duraturi risparmi, non riducendo il numero dei professionisti dedicati alla cura e all'assistenza. Così facendo non si fa altro che mettere a rischio (i dati parlano chiaro) oltre alla tenuta del sistema e alla motivazione dei professionisti, anche la qualità delle cure e la sicurezza degli assistiti”.

Fonte: www.ipasvi.it - attualità - 23 dicembre 2014

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