La Stabilità e gli infermieri
Nel ddl stabilità appena approvato dal Senato e ora all’esame della Camera per il voto finale molto interessante è il contenuto del comma 566 che è titolato “Definizione di ruoli, competenze, relazioni professionali, responsabilità individuali e di equipe su compiti, funzioni ed obiettivi, delle professioni sanitarie infermieristiche-ostetrica, tecniche della riabilitazione e della prevenzione, anche attraverso percorsi formativi complementari”.
Relativamente ai ruoli, alle responsabilità, ai compiti, alle funzioni e agli obiettivi ci sono due aspetti fondamentali che meritano di essere approfonditi:
Uno riguarda “la forma”- le norme che definiscono i ruoli e le responsabilità del medico si riferiscono principalmente al D.Lgs. 502/'92 (23 anni fa!). Da allora ad oggi poco o nulla è cambiato. Per le professioni sanitarie infermieristico-ostetriche, riabilitative, tecniche e della prevenzione (in totale 22 professioni), nello stesso arco temporale sono state emanate oltre 30 normative che hanno definito in maniera chiara ed inequivocabile i ruoli e le responsabilità delle professioni e degli operatori che vi appartengono. L'ulteriore cambiamento fondamentale degli ultimi 12-13 anni è stato il passaggio di tutta la formazione delle professioni citate all'Università, con evidente riconoscimento delle discipline e delle relative professioni, con l'attivazione di Corsi di Laurea di I e II livello, dei Master di I e II livello e dei Dottorati di Ricerca.
Uno riguarda “la sostanza” – gli sviluppi che hanno interessato le 22 professioni sopra richiamate (diversa formazione, diverse competenze e diverse normative di riferimento) non hanno avuto, come diretta e logica conseguenza, i cambiamenti auspicati a livello dei modelli organizzativi e dei sistemi di prevenzione, cura, assistenza e riabilitazione (o comunque i cambiamenti sono avvenuti in maniera molto inferiore rispetto alle aspettative, peraltro con una distribuzione molto diversa sul territorio nazionale). Di fatto, in troppi casi, continuano a prevalere i modelli del passato (risalenti a poco più della metà del secolo scorso), fortemente centrati sull'individualismo, sulla autoreferenzialità e sulle “tradizioni verticistiche”, a fronte delle nuove necessità di funzionamento del sistema e del management moderno che invece raccomandano lo sviluppo di sistemi multi-professionali e multi-disciplinari, la massima integrazione e lo sviluppo di sistemi “a matrice”.
Pertanto non si tratta tanto di cambiare ulteriormente le norme, quanto di cambiare una cultura, e di costruire - insieme - nuovi progetti, nuovi modelli, nuovi percorsi e nuovi processi, tenendo conto dei cambiamenti che riguardano lo stato di salute della popolazione (nuovi bisogni), le necessità di funzionamento del sistema sanitario e i diversi saperi dei professionisti. Anche il CCNL dell'Area della Dirigenza SPTA (Agosto 2008) raccomandava, a seguito del pieno riconoscimento delle professioni sanitarie, una nuova declinazione dei ruoli e delle responsabilità (con ovvie ripercussioni su tutta la filiera professionale e sulle articolazioni organizzative), ad evitare conflittualità e sovrapposizione di ruoli.
Sono passati più di 6 anni e nulla è stato fatto. Le criticità del Paese e del sistema non consentono più la “limitazione all'enunciato” ma obbligano una chiara individuazione di chi “deve fare i compiti” e i tempi di realizzazione, anche con il coinvolgimento diretto della Conferenza Stato-Regioni, per una uniformità applicativa sull'intero territorio nazionale.
Relativamente ai percorsi di formazione complementare, sicuramente fondamentali per meglio garantire gli utenti e gli stessi professionisti, probabilmente è necessario sviluppare alcuni approfondimenti (guardando avanti, ma con un occhio anche al passato), in particolare:
· l'esperienza era già presente all'inizio degli anni '70;
· la legge 43/'06 già definiva detti percorsi formativi post-formazione di base (9 anni senza segni evidenti di traduzione pratica dei principi teorici);
· valutare bene l'opportunità di privilegiare una formazione complementare (mutuando un po' quello che avviene nell'area medica) o una formazione continua, maggiormente centrata sulle necessità degli operatori e del sistema, tenuto conto delle specificità e caratterizzazioni dei singoli contesti operativi, nonché delle evoluzioni continue che interessano le tecnologie, i modelli organizzativi ed i sistemi di cura-assistenza-riabilitazione (rif. Sistema ECM e Dossier Formativo);
· la necessità di riconoscere contrattualmente la differenziazione dei saperi e delle responsabilità.
Desta invece molta preoccupazione il comma 584 che richiama “le disposizioni della legge n. 191/2009 (Tremonti), che prevedevano che le spese del personale non superassero per il triennio 2010-2012 il corrispondente ammontare dell’anno 2004 diminuito dell'1,4 per cento, vengono prorogate a ciascuno degli anni dal 2013 al 2020. A tale fine si considerano anche le spese per il personale con rapporto di lavoro a tempo determinato, con contratto di collaborazione coordinata e continuativa, o che presta servizio con altre forme di rapporto di lavoro flessibile o con convenzioni”.
Ad oggi è possibile prendere atto delle seguenti situazioni:
· le logiche della “spending review” hanno riguardato prevalentemente le professioni assistenziali infermieristiche e di supporto (che hanno indubbiamente pagato il prezzo più alto!);
· il “taglio lineare” è stato il modello privilegiato dalla quasi totalità delle regioni, nonostante le diverse indicazioni della L. 133/2008 (Brunetta), della L. 135/2012 (Monti) e del DL 158/2012 (Balduzzi);
· l'obiettivo del “contenimento dei costi” ha prevalso sull'obiettivo “salute della popolazione” (probabilmente senza valutare i maggiori costi di domani, conseguenza diretta dei servizi “tagliati” oggi);
· di contro, i principi del management moderno, che raccomandano di privilegiare il momento “programmatorio-riorganizzazivo” alla “razionalizzazione” (spesso necessitante anche di investimenti), non hanno avuto la considerazione sperata.
L'attenzione maggiore deve essere posta proprio sull'azione programmatoria e riorganizzativa (di competenza regionale, nel rispetto degli indirizzi nazionali), evitando di fissare obiettivi di contenimento dei costi per le direzioni aziendali che, in troppi casi, si trovano obbligate, come pratica applicazione, il taglio di risorse.
Il livello governativo ha fatto il proprio dovere definendo gli standard di riferimento (discipline e numero di posti letto rapportati alla numerosità della popolazione).
Ora spetta alle Regioni applicare detti principi, con assunzione diretta di responsabilità e il coraggio delle scelte, lavorando su nuovi progetti, a garanzia e tutela degli utenti e dei professionisti del SSN, anche con coinvolgimenti diretti degli stake-holder interessati per rendere evidente che la garanzia di un servizio non è collegata ad “una targa” affissa a parete, bensì è conseguenza diretta di una casistica e dell'abilità dei professionisti (che non può esserci senza casistica).
Probabilmente ci sono ancora margini di razionalizzazione (evidenziando appieno che in epoca di “vacche grasse” si è esagerato un po' troppo), ma non si può anticipare la razionalizzazione alla riorganizzazione!
Se si devono garantire i LEA,nelle more delle riorganizzazioni di cui sopra (e sarebbe opportuno definire un cronoprogramma di riferimento, magari anche con il “rischio commissariamento” per le regioni inadempienti), è necessario:
· definire standard di riferimento per la determinazione delle dotazioni organiche, per tipologia e numerosità di operatori (l'ultimo documento risale a 26 ani fa!);
· assicurare la copertura del turnover in tempo reale (pensionistico, dimissioni, scadenza incarichi, etc.);
· garantire la sostituzione delle gravidanze e delle lunghe assenze (particolarmente “pesante” in una professione “prevalentemente donna”);
· garantire la sostituzione delle assenze legate a benefici di legge (es. l. 104/92);
· regolare diversamente (contrattualmente) il sistema formativo obbligatorio (sistema ECM) per l'Area del comparto del SSN/R;
· studiare sistemi di passaggi di ruolo all'interno della pubblica amministrazione per le persone con reali problemi di salute (difficile pensare una infermiera di 65 aa in una organizzazione turnistica h24 in una struttura ospedaliera/residenziale!)
Parallelamente, stante la fondamentale riorganizzazione che interessa il sistema delle cure primarie (evoluzione delle UCCP e AFT), in linea con i principi fissati dall'OMS, dal PSN e dal DL 158/2012 (Balzuzzi), è indispensabile investire su risorse assistenziali (principalmente infermieri, fisioterapisti e operatori di supporto), senza le quali è impossibile sviluppare il nuovo sistema, anche con un ripensamento dei massimali degli assistiti per MMG/PLS, stante la nuova organizzazione e i nuovi saperi dei professionisti.
Non è pensabile e non è possibile garantire l'adeguatezza e la completezza delle attività assistenzialisenza le garanzie di cui sopra. Certamente vanno realizzate tutte le riorganizzazioni necessarie, ma nel frattempo vanno garantite le condizioni di sicurezza agli utenti e agli operatori, anche con scelte “pesanti” tenendo conto dei nuovi bisogni delle persone e delle esigenze di funzionamento del sistema, con una attenzione anche ai dati OCSE che, relativamente al Paese Italia, evidenziano +1 medico ogni 1.000 abitanti e -1,5 infermieri ogni 1.000 abitanti.
É giunto il momento che ognuno si assuma le proprie responsabilità (parte politica, parte professionale, parte sindacale), con la volontà di riuscire e il coraggio di cominciare.
Marcello Bozzi
Fonte: Quotidiano Sanità - 22 dicembre 2014