Rapporto Censis: “Jobs Act non creerà nuovo lavoro”
Il capitale in questione oltre che quello umano è anche e soprattutto quello culturale. L’Italia avrebbe le potenzialità e le risorse per uscire dal pantano, ma preferisce restare nella crisi. Questa la triste sintesi.
Giovani ai margini del mondo del lavoro
I soldi, causa l’incertezza del momento, non vengono spesi. Ma ad essere risparmiate sono anche, come detto, le risorse umane e “la cultura come valore di sviluppo”. I giovani che in questa epoca dovrebbero trovare il loro habitat naturale vengono sempre più emarginati dal mondo del lavoro. La loro familiarità con le nuove tecnologie dovrebbe fare di loro una risorsa per un Paese come l’Italia che punta a risollevarsi. E invece i giovani sotto i 34 anni costituiscono quasi la metà degli 8 milioni di italiani “inutilizzati”.
È un mondo difficile anche per quelli che, sotto i 34 anni, lavorano già. Il Censis stima intorno ai 4,7 milioni il numero di giovani formalmente autonomi e che vivono per conto loro. Di questi un milione risulta povero ed ha difficoltà ad arrivare alla fine del mese, 2,4 milioni invece non possono prescindere dall’aiuto dei propri genitori. I giovani occupati del nostro Paese rappresentano per il Censis una classe “ibrida”: un aggettivo che ben si addice all’instabilità occupazionale. Aumentano invece del 19,1% i lavoratori over 50. A fare da complice qui la riforma previdenziale.
La cultura rappresenta una spesa e non una risorsa
Ma l’altro grande capitale “inagito” è la cultura. L’Italia è il Paese della cultura per antonomasia. Nessuno al mondo può vantare i beni ed il patrimonio che può vantare il nostro paese. Eppure qui da noi la cultura rappresenta una spesa più che una risorsa. Abbiamo meno occupati (304 mila) nel settore della cultura di paesi come Regno Unito (755 mila), Germania (670 mila), Francia (556 mila) e Spagna (409 mila). È un settore quello della cultura che altrove, Francia e Germania, è in grado di produrre dai 27 ai 35 miliardi. Qui da noi si ferma a 15,5 miliardi.
I segni negativi
C’è poca fiducia nel futuro e quindi anche nell’istruzione come investimento. Diminuiscono gli iscritti all’università: dal 2008 al 2013 sono calati del 7,2%, gli immatricolati addirittura del 13,6%. E l’incertezza nel futuro non può che ripercuotersi anche sulle nascite: record minimo storico lo scorso anno con 514 mila nuovi nati. Diminuiscono anche gli investimenti: meno 23% in 5 anni. Scendono anche i consumi alimentari: registrato un crollo del 12,9%.
Rapporto Censis: “Italia paese delle sette giare”
L’Italia non cresce. Il Censis lo definisce Paese “delle sette giare”. Le giare, contenitori con una ricca potenza interna ma isolati, ben rappresenterebbero lo schema di una “società liquida che rende liquefatto il sistema”. In ogni giara, in ogni piccolo mondo, ognuno esercita i propri interessi. Piccoli mondi, ognuno a sé stante, che non dialogano tra loro: poteri sovranazionali, politica nazionale, istituzioni, gente e media. È una “profonda crisi della cultura sistemica” che non fa altro che aumentare il clima di incertezza che già intimorisce le famiglie italiane.
Il 60% degli italiani teme lo spettro della povertà: chiunque può diventare povero. Un timore che si riversa in una forma di “attendismo cinico”: non si investe e non si spende. La conseguenza è che “la gestione dei soldi da parte delle famiglie è fatta di breve e brevissimo periodo” scrive il Censis. Dal 2007 al 2013, le uniche voci delle attività finanziarie delle famiglie a non diminuire sono state quelle dei depositi bancari e dei contanti. Quasi la metà delle famiglie, il 45%, risparmia temendo spese impreviste. Spese che potrebbero arrivare a causa della perdita del lavoro o in caso di malattia. Il 36% ha invece voglia semplicemente di sentirsi più tranquillo e “con le spalle coperte” come si legge dal rapporto del Censis.
Il Censis boccia il Jobs Act
I ricercatori del Censis si dimostrano scettici sull’esito del Jobs Act. Secondo loro non creerebbe posti di lavoro. Dal rapporto si legge: “Considerando la quota dei contratti part-time e a tempo determinato sul totale degli occupati nei Paesi europei, si registra una certa correlazione tra la loro diffusione e più alti tassi di occupazione”. Il tasso di occupazione in Italia nel 2013 è stato pari al 59.8%, di cui il 17,9% di part-time e il 13,2% di contratti a termine. In Paesi con un tasso di occupazione maggiore del nostro, Germania col 77,1% e Paesi bassi con il 76,5%, risulta superiore anche la percentuale di contratti a tempo determinato. Quindi, la centralità che il Jobs Act vuole dare al lavoro a tempo indeterminato non è detto che possa incrementare il tasso di occupazione.
Fonte: termometropolitico.it - 5 dicembre 2014