Modifica delle mansioni del lavoratore: il job act riforma anche questo

Modifica delle mansioni del lavoratore: il job act riforma anche questo

Modifica delle mansioni del lavoratore: il job act riforma anche questo

“Il dipendente deve essere adibito:
- alle stesse mansioni per le quali è stato assunto
- oppure a quelle corrispondenti alla categoria superiore che abbia acquisito durante il rapporto di lavoro
- oppure a mansioni equivalenti alle ultime effettivamente svolte, senza alcuna diminuzione della retribuzione”.

Si tratta di un principio (affermato dal codice civile [1]) che, per anni, è stato un caposaldo della disciplina sul contratto di lavoro subordinato e che ora il Job Act va a modificare. Una modifica passata in sordina, perché l’opinione pubblica era concentrata a giudicare la questione sull’ “articolo 18” che, invece, a conti fatti, potrebbe avere margini di applicazione più ridotti rispetto a quella in commento. Ecco allora cosa cambia con la legge delega approvata dalla recente riforma del lavoro.

L’attuale disciplina

La possibilità che oggi ha l’azienda di modificare le attività assegnate al dipendente scatta solo in presenza di un equivalente contenuto professionale. In pratica, la nuova attività deve essere caratterizzata, sia sul piano quantitativo che qualitativo, da un corrispondente livello di impegno professionale.

Di fatto, attualmente, il datore di lavoro non può attribuire nuove mansioni che, rispetto a quelle precedentemente svolte dal dipendente, non risultino almeno equivalenti sul piano delle competenze e del grado di responsabilità. Peraltro, secondo la giurisprudenza, le nuove attribuzioni non devono neanche impedire al lavoratore una progressione di carriera.

Ammesse nuove mansioni anche di livello inferiore

In questo quadro si inserisce la revisione della disciplina delle mansioni introdotta dal Job Act di Renzi con l’approvazione di una specifica delega per la rivisitazione dell’intera materia. La modifica della disciplina precedente, secondo quanto emerge dalla legge delega, non può andare nella direzione di una liberalizzazione assoluta e generale, ma andrà incontro ai processi di riorganizzazione, ristrutturazione o conversione aziendale, da individuare sulla base di parametri oggettivi e ben precisi.

Non si tratta solo della possibilità, concessa al datore, di assegnare il dipendente a una nuova mansione di livello inferiore solo quale alternativa al licenziamento (il che non aggiungerebbe nulla di nuovo, atteso che tale potere è da sempre riconosciuto da parte dei giudici). Al contrario, il riferimento contenuto nella legge delega sembra avere una portata più ampia: esso ricomprenderebbe i processi di riorganizzazione e di ristrutturazione aziendale che prescindono dalla necessità, in alternativa, di licenziare il lavoratore.

La revisione della disciplina delle mansioni dovrà essere adottata contemperando l’interesse del datore all’utilizzo del personale in base alle esigenze di impresa con quello del lavoratore non solo alla tutela del posto di lavoro, ma anche alla sua professionalità, alle sue condizioni di vita e alle sue prospettive economiche. Dovranno comunque essere previsti limiti alla modifica dell’inquadramento del lavoratore. 

Insomma, il testo della legge delega sembra autorizzare l’attribuzione al lavoratore di un livello di mansioni anche inferiori rispetto a quello di provenienza, in presenza dei predetti presupposti di necessità aziendale. Ma è legittimo anche pensare all’assegnazione al lavoratore di nuove competenze che si collocano ad un livello contrattuale inferiore.

I contratti collettivi, non solo quelli nazionali ma anche di secondo livello, potranno comunque individuare ulteriori ipotesi nelle quali prevedere la legittima modifica delle mansioni. 

Fonte: laleggepertutti.it - 7 dicembre 2014

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