Licenziamento disciplinare. Un decreto per l’opinione pubblica più che per governare il sistema

Licenziamento disciplinare. Un decreto per l’opinione pubblica più che per governare il sistema

Licenziamento disciplinare. Un decreto per l’opinione pubblica più che per governare il sistema

Il governo prosegue con la strada della “pubblicizzazione” dei rapporti di lavoro del pubblico impiego intervenendo al di fuori del luogo naturale dei procedimenti disciplinari che è costituito dalla contrattazione. Si stabiliscono norme che non tengono conto del principio di “gradualità” e di “proporzionalità”. Il CdM decide così di cavalcare l’onda mediatica rinunciando a veri atti di "governo" del personale.

In principio fu Renato Brunetta e la sua lotta ai “fannulloni” su cui ha basato una buona parte della sua attività ministeriale. Dall’altro versante - centrosinistra - Pietro Ichino discettva con la sua fatica editoriale “I nullafacenti”. Memorabile è rimasta la disquisizione su come chiamare i dipendenti pubblici: per Brunetta geneticamente “fannulloni”, per Ichino “nullafacenti” per colpa dell’organizzazione. 
 
Il Brunetta ministro prima ancora di varare la sua riforma anticipò alcuni contenuti in un decreto legge estivo in cui stralciò le norme sull’assenteismo per malattia con norme che lo stesso Brunetta, ripetutamente cambiò per arrivare infine, praticamente al punto di partenza. Le norme di Brunetta hanno creato più problemi di quelli che volevano risolvere e lo stesso ministro si preoccupò di cestinarle a brevissima distanza dalla loro emanazione. Il rischio di bocciatura costituzionale era evidente per molte di quelle norme. Alcune delle norme sopravvissute, non sono praticamente mai state applicate neanche dalla magistratura ordinaria.

Andiamo con ordine. Il Governo ora interviene – seguendo i dettami della c.d. “Legge Madia” 7 agosto 2015, n. 124 denominata “Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche”, stralciando la delega dell’art. 17, comma 1, punto s) che prevede “l’introduzione di norme in materia di responsabilità disciplinare dei pubblici dipendenti finalizzate ad accelerare e rendere concreto e certo nei tempi di espletamento e di conclusione l'esercizio dell'azione disciplinare”.
 
Dunque il mandato è quello di accelerare il procedimento disciplinare. Il governo Renzi nel decreto legislativo approvato – al momento schema di decreto – in realtà si occupa solo ed esclusivamente di accelerare solo il procedimento disciplinare che comporta licenziamento per “falsa attestazione della presenza in servizio” introducendo cinque commi all’articolo 55 quater del decreto legislativo 165/2001 il quale al comma 1, lettera a) già prevedeva il licenziamento disciplinare per “giusta causa o giustificato motivo” per “falsa attestazione della presenza in servizio, mediante l'alterazione dei sistemi di rilevamento della presenza o con altre modalità fraudolente, ovvero giustificazione dell'assenza dal servizio mediante una certificazione medica falsa o che attesta falsamente uno stato di malattia”. A questa fattispecie di fatto la riforma Brunetta aveva anche collegato, nell’articolo successivo, il reato di “false attestazioni e certificazioni” sanzionandolo con una pena da uno a cinque anni e con la multa da quattrocento a milleseicento euro”.
Quando nel dibattito di questi giorni qualcuno sottolineava – alcune sigle sindacali e lo stesso Brunetta – che le norme erano già presenti si faceva riferimento alle norme citate.
 
L’intervento del Governo con il nuovo decreto delegato
Cosa cambia nel nuovo intervento del legislatore delegato allora? In primo luogo una puntualizzazione della fattispecie della “falsa attestazione della presenza in servizio”. Il nuovo comma 1 bis dell’articolo 55 quater introdotto recita testualmente: Costituisce falsa attestazione della presenza in servizio qualunque modalità fraudolenta posta in essere, anche avvalendosi di terzi, per far risultare il dipendente in servizio o trarre in inganno l’amministrazione presso la quale il dipendente presta servizio circa il rispetto dell’orario di lavoro dello stesso. Della violazione risponde anche chi abbia agevolato con la propria condotta attiva o omissiva la condotta fraudolenta.

Dunque “qualunque modalità fraudolenta” – es. timbrare e uscire – anche avvalendosi di terzi – lasciare il badge marcatempo al collega che provvede a timbrare – o comunque altro comportamento idoneo a trarre in inganno l’amministrazione della effettiva presenza in servizio del dipendente. Degno di attenzione è anche l’ultimo periodo del comma introdotto: “della violazione risponde anche chi abbia agevolato con la propria condotta attiva o omissiva la condotta fraudolenta”. I destinatari della violazione – che appunto ha come conseguenza il licenziamento disciplinare – sono tutti coloro che abbiano “agevolato” con la propria condotta “attiva” o “omissiva” il comportamento fraudolento. L’individuazione della condotta attiva è semplice: la persona che si è sostituita nell’attestazione della presenza in servizio timbrando il badge in sua vece. Più ardua e più insidiosa è l’individuazione di coloro che abbiano agevolato tale fattispecie con una condotta di carattere “omissivo”. Viene, in questo primo commento “a caldo”, in mente il ruolo del direttore di struttura complessa, di struttura semplice (visto che prioritariamente, da contratto, quest’ultimo gestisce “risorse umane) per il personale afferente alla dirigenza, mentre per il personale del comparto, i destinatari principali sono da individuarsi prioritariamente tra le posizioni organizzative e tra i coordinatori. Attenzione: l’agevolazione implica una volontà di favorire la condotta fraudolenta e non può essere equiparata alla disattenzione, alla negligenza o al puro mancato controllo della presenza in servizio del personale sotto-ordinato. Nella stessa fattispecie – quella omissiva - possono rientrare gli stessi colleghi che pur non avendo materialmente “timbrato” (e quindi sostituitosi) ne occultino, anche attraverso la mancata segnalazione, la presenza in servizio. Nel rapporto “tra pari”, dunque, si può rispondere per comportamenti “attivi” od “omissivi” mentre possiamo ipotizzare che nel rapporto con le gerarchie sovraordinate il superiore risponda essenzialmente di comportamenti omissivi.
 
Il decreto legislativo del Governo Renzi interviene, una volta che il fatto sia “accertato in flagranza”, inoltre sulla procedura disciplinare e sulla pressoché immediata sospensione del dipendente dal servizio con l’introduzione del “comma 3 bis” dell’articolo 55 quater. Lo riportiamo per esteso
 
Comma 3 bis
Nel caso di cui al comma 1, lettera a), la falsa attestazione della presenza, accertata in flagranza ovvero mediante strumenti di sorveglianza o di registrazione degli accessi o delle presenze, determina l’immediata sospensione cautelare senza stipendio del dipendente, senza obbligo di preventiva audizione dell’interessato. La sospensione è disposta dal responsabile della struttura di appartenenza del dipendente o, ove ne venga a conoscenza per primo, dall’ufficio competente di cui all’articolo 55-bis, comma 4, con provvedimento motivato, in via immediata e comunque entro quarantotto ore dal momento in cui i suddetti soggetti ne sono venuti a conoscenza. La violazione del suddetto termine non determina la decadenza dall’azione disciplinare né l’inefficacia della sospensione cautelare, fatta salva la responsabilità del dipendente che ne sia responsabile.
 
La norma si occupa, non prioritariamente, ma esclusivamente della falsa attestazione della presenza “accertata in flagranza ovvero mediante strumenti di registrazione degli accessi”. In questa fattispecie di licenziamento disciplinare si fa quindi riferimento al concetto penalistico della “flagranza” che è caratterizzato dall’essere colti “nell'atto di commettere il reato ovvero chi, subito dopo il reato, è inseguito dalla polizia giudiziaria, dalla persona offesa o da altre persone ovvero è sorpreso con cose o tracce dalle quali appaia che egli abbia commesso il reato immediatamente prima” (art. 382 cpp). Calandosi dalle fattispecie penali agli obblighi contrattuali possiamo ipotizzare, prima facie, che il dipendente sia “colto in flagrante” sostanzialmente da un suo superiore oppure, sfruttando le norme introdotte dal recente jobs act – D.Lgs 151/2015 – che, con modalità ancora da chiarire nel dettaglio, permette l’utilizzo degli “apparecchi audiovisivi” (la denominazione storica utilizzata dallo Statuto dei lavoratori per indicare le telecamere) da parte del datore di lavoro da applicarsi “agli strumenti di registrazione degli accessi e delle presenze”. Le telecamere posizionate di fronte agli orologi marcatempo, diventate lecite con i recenti decreti del governo Renzi, possono quindi costituire la fonte di prova della flagranza del comportamento vista la difficoltà di cogliere sul fatto chi mette in essere il comportamento fraudolento. Ci risparmiamo in questa sede la discussione e il distinguo tra “flagranza” e “quasi flagranza” sviluppatosi in sede penale.

In caso di flagranza vi è l’obbligo per la struttura di sospendere “immediatamente” o comunque “entro quarantotto ore” senza retribuzione il dipendente e “senza obbligo di preventiva audizione dell’interessato”. Registriamo quindi l’introduzione di una nuova fattispecie di “sospensione cautelare dal servizio”.
Tutta da interpretare è l’individuazione del soggetto a cui competa la sospensione del dipendente. La legge fa genericamente riferimento al “responsabile” o, se ne venga a conoscenza prima, all’ufficio competente per le sanzioni disciplinari. L’individuazione del “responsabile” è da individuarsi, sempre, in colui che ha un ruolo dirigenziale e non pare quindi estensibile, quanto meno nelle organizzazioni sanitarie, a titolari di funzioni di coordinamento e di posizioni organizzative.

Contestualmente alla sospensione il “responsabile” trasmette gli atti all’ufficio competente per le sanzioni disciplinari che deve concludere il procedimento “entro trenta giorni” come specifica il comma 3 ter introdotto dal decreto Madia che riportiamo di seguito:
Comma 3 ter
Nei casi di cui al comma 3-bis, il responsabile della struttura di appartenenza del dipendente, contestualmente al provvedimento di sospensione cautelare di cui al predetto comma 3-bis, trasmette gli atti all’ufficio competente di cui all’articolo 55-bis, comma 4, per l’avvio del procedimento disciplinare. Quest’ultimo ufficio, dopo avere ricevuto gli atti, o comunque dopo essere venuto a conoscenza del fatto, avvia immediatamente il procedimento disciplinare, che deve concludersi entro trenta giorni.
 
Il decreto delegato prosegue con il comma 4 ter che provvede a disciplinare i tempi per la segnalazione alla Corte dei conti e alla denuncia al pubblico ministero (15 giorni). La magistratura contabile deve intervenire per la quantificazione del danno di immagine tenendo conto, “equitativamente”, anche “della rilevanza del fatto per i mezzi di informazione”. Maggiore eco avrà avuto la vicenda sui giornali e maggiore dovrà essere il risarcimento che, comunque, non potrà essere inferiore a “sei mensilità dell’ultimo stipendio in godimento”. Il legislatore si contraddice nella parte in cui chiede l’intervento equitativo del giudice e nel contempo ne fissa anche la sanzione minima.
Riportiamo per esteso il comma 3 quater
 
Comma 3 quater
Nei casi di cui al comma 3-bis, la denuncia al pubblico ministero e la segnalazione alla competente procura regionale della Corte dei conti avvengono entro quindici giorni dall’avvio del procedimento disciplinare. La Procura della Corte dei conti, quando ne ricorrono i presupposti, emette invito a dedurre per danno d’immagine entro tre mesi dalla conclusione della procedura di licenziamento. L’azione di responsabilità è esercitata, con le modalità e nei termini di cui all’articolo 5 del decreto-legge 15 novembre 1993, n. 453, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 gennaio 1994, n. 19, entro i centoventi giorni successivi alla denuncia, senza possibilità di proroga. L’ammontare del danno risarcibile è rimesso alla valutazione equitativa del giudice anche in relazione alla rilevanza del fatto per i mezzi di informazione e comunque l’eventuale condanna non può essere inferiore a sei mensilità dell’ultimo stipendio in godimento, oltre interessi e spese di giustizia.
 
Il decreto si conclude con l’articolo 3 quinques in cui introduce la fattispecie di licenziamento disciplinare per il dirigente che ometta la comunicazione del fatto, ometta l’attivazione del procedimento disciplinare e ometta la sospensione cautelare. Lo riportiamo per esteso.

3-quinquies.
Nei casi di cui al comma 3-bis, per i dirigenti, ovvero, negli enti privi di qualifica dirigenziale, per i responsabili di servizio competenti, l’omessa comunicazione di cui all’ufficio competente di cui all’articolo 55-bis, comma 4, l’omessa attivazione del procedimento disciplinare e l’omessa adozione del provvedimento di sospensione cautelare costituiscono fattispecie disciplinare punibile con il licenziamento e costituiscono omissione d’atti di ufficio”.

 

Rischia di peccare di “eccesso di delega” il riferimento all’integrazione della fattispecie penalistica dell’omissione di atti d’ufficio visto che nella legge delega non si faceva alcun riferimento alla modifica del codice penale. E’ del tutto verosimile che tale parte vada stralciata e debba seguire la via della legislazione ordinaria.
 
Conclusioni 
A fronte di una lettura “a caldo” dello schema di decreto legislativo possiamo rilevare alcune incongruenze evidenti. Il governo prosegue con la strada della “pubblicizzazione” dei rapporti di lavoro del pubblico impiego intervenendo al di fuori del luogo naturale dei procedimenti disciplinari che è costituito dalla contrattazione.

In secondo luogo si stabiliscono norme che non tengono conto del principio di “gradualità” e di “proporzionalità” che sono fondamentali in ogni procedimento sanzionatorio. La sostanziale equiparazione di comportamenti, comunque passibili di sanzione, come il dipendente che si assenta per pochi minuti al comportamento del dipendente che risulta totalmente assenze, pone non soltanto ombre di incostituzionalità ma pone le basi per la sua non applicazione. Si pensi la reato introdotto dalla riforma Brunetta – precedentemente citato - che sanziona da uno a cinque anni la falsa attestazioni in servizio e i certificati compiacenti con sanzioni che prevedono la pena detentiva da uno a cinque anni anche per il medico che ha stilato il certificato. Al medico deve inoltre essere applicata la sanzione disciplinare della radiazione dall’albo. L’eccessiva durezza della norma ne ha comportato la non applicazione. I processi per le timbrature per altri e per i certificati compiacenti hanno seguito il classico reato di truffa e pressoché mai il reato introdotto da Brunetta.

Inoltre vi è stata una revisione solo parziale dei procedimenti disciplinari che, per il resto, seguono le vie e i tempi ordinari. E’ curioso notare che nei casi di licenziamenti disciplinari i tempi di contestazione erano, fino a oggi, raddoppiati rispetto agli altri procedimenti, per valutare compiutamente i fatti di una rilevante gravità e quindi di rilevante conseguenza. Oggi quei tempi – e solo per i fatti gravi – vengono più che dimezzati ponendo un problema non secondario di diritto alla difesa. Si pensi se la contestazione possa essere operata d’estate durante il periodo classicamente feriale per i procedimenti giudiziari dove può essere quasi impossibile trovare un avvocato in termini così stretti. 
 
Sembra il classico decreto destinato più all’opinione pubblica che non a governare il sistema come sono state tante norme contenute nella riforma Brunetta. E’ significativo il fatto che questo sia al momento il primo di una serie di decreti legislativi che devono generare dalla riforma Madia e che il governo ne abbia deciso l’anticipazione rispetto al resto dei provvedimenti che dovranno riguardare le dotazioni organiche, la revisione dei concorsi, la revisione dei sistemi di valutazione ecc.

Il Consiglio dei ministri decide di cavalcare l’onda mediatica - o forse la subisce – rinunciando, al momento, di provvedere a veri atti di “governo” del personale come il cambiamento dell’organizzazione, la motivazione, i sistemi premianti, lo sblocco del turn over (che si è addirittura inasprito) e, ultimo ma non ultimo, il rinnovo dei contratti del pubblico impiego il cui blocco, come è noto, è stato dichiarato anticostituzionale.

Tutti hanno a cuore l’efficienza della pubblica amministrazione ma questa deve essere perseguita attraverso una politica complessiva. In questi giorni, invece, il problema del pubblico impiego sembra essere solo la lotta ai “furbetti del cartellino” diventata vera e propria arma di distrazione di massa rispetto a provvedimenti che non si prendono o che vanno in una direzione contraria al c.d. “efficientamento” dei servizi pubblici.

E’ verosimilmente corretto affermare che il termine “riforma” – quanto meno nella sua accezione più nobile – debba essere negato a simili provvedimenti come quello di cui ci siamo occupati.

Luca Benci
Giurista 

scarica lo schema di Dlgs sul licenziamento disciplinare

Fonte: Quotidiano Sanità - 22 gennaio 2016

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